Ci sono due piani su cui è strutturata “Adolescence”, la serie Netflix che ci sta portando a interrogarci sul nostro ruolo di comunità educante per le nuove generazioni:
Il livello manifesto, che poi è la trama: Jamie, 13 anni, viene incastrato dalle telecamere di sorveglianza mentre una sera uccide a coltellate una compagna di scuola. Parte la ricerca dell’arma e, soprattutto, del movente: perché l’ha fatto?
Il livello sotteso, fatto di dettagli densi di significato, messaggi non necessari per la comprensione della storia, ma arricchenti per chi li coglie.
Prendiamo l’indizio nascosto già nei primi minuti di girato: la nostra attenzione era focalizzata sull’espressione di Jamie, svegliato di soprassalto dalla polizia che ha fatto irruzione in casa alle prime luci del mattino. Se guardiamo dove poggia la sua mano, noteremo uno squarcio nella carta da parati simile alla silhouette di un coltello, ovvero l’arma del femminicidio.
Lo stesso squarcio ricomparirà alla fine della serie, quando il padre saluterà metaforicamente l’idea che aveva del suo bambino, mettendo a letto un peluche.
Quello squarcio è tutto: lo strazio del genitore (“Pensavamo che in quella cameretta fosse al sicuro”), lo strappo definitivo dall’infanzia e dalla vita di prima, com’era o come i protagonisti credevano di conoscerla, e forse anche il risultato di uno degli attacchi di rabbia violenta di Jamie.
Di questi indizi nascosti mi sembra sia ricca soprattutto la terza puntata, quella in cui il giovanissimo accusato incontra la psicologa clinica Briony Ariston, all’interno della struttura in cui si trova in attesa del processo.
Per interpretare meglio alcuni dettagli, ho chiesto aiuto a un’esperta, Ilaria Albano, psicologa e divulgatrice scientifica, autrice del libro “Il Metodo Scortese”.
Legenda: D = domanda, R = Risposta
D: "Se in un romanzo appare una pistola, bisogna che prima o poi questa spari" scriveva Čechov per indicare di mettere in scena solo oggetti con una funzione. Il panino al formaggio e sottaceti che la psicologa offre a Jamie all’inizio del colloquio è una “pistola”?
R: Sì, in un certo senso. Il panino diventa un simbolo potente. Non è solo cibo, ma una mano tesa, un ponte per creare un legame emotivo. All’inizio Jamie è scettico, lo scarta ma non lo mangia, lo accantona, rivela di non amare quel tipo di sottaceti, come se non fosse davvero disposto a lasciarsi andare. E invece alla fine del colloquio, proprio quando allenta le difese, afferra quel panino. Ne dà un morso, sperando che la psicologa lo capisca, che stia dalla sua parte. Un segno tangibile del suo bisogno di essere visto e di voler essere accettato, che proietta sulla psicologa al termine del loro incontro.
D: Dopo uno scatto d'ira in cui il ragazzo scaglia a terra un bicchiere di cioccolata (offerto insieme al panino), la psicologa esce e chiede alla guardia di controllare cosa succede attraverso la telecamera. Cosa deve scorgere?
R: Lo scatto d’ira non è solo un gesto impulsivo: è una rottura della dinamica del colloquio, una manifestazione di frustrazione. La psicologa osserva bene la reazione di Jamie dopo l'esplosione di rabbia, perché è un momento chiave per comprendere il modo in cui gestisce le sue emozioni. Vuole vedere se crolla, se si pente, se cerca di ricomporsi, se si chiude in se stesso.
E successivamente lei torna da lui cambiando registro: in un contesto terapeutico o di interrogatorio psicologico, i cambi di registro non sono casuali, ma servono a calibrare la comunicazione per andare oltre i meccanismi di difesa e avvicinarsi di più emotivamente. Nel caso del colloquio, cambiando registro e mostrandosi più diretta, la psicologa ha la possibilità di provare un altro modo per oltrepassare quelle barriere e capire come smuovere in Jamie un processo di consapevolezza.
D: A un certo punto chiede all'accusato se sa cosa vuol dire che Katie, la ragazza che ha ucciso, è morta. A 13 anni è possibile non saperlo?
R: Teoricamente un tredicenne sa cos’è la morte. Ma il concetto di irreversibilità, di assenza definitiva, può essere più difficile da interiorizzare. Inoltre, a seguito di episodi traumatici, il cervello può dissociare, rifiutare la realtà o rimanere bloccato in una sorta di negazione. Quindi la domanda della psicologa non è solo accademica: sta valutando se Jamie ha davvero compreso la gravità di ciò che è successo o se la sua mente lo sta proteggendo dall’impatto emotivo delle reali conseguenze delle sue azioni. Inoltre, trovo che la particolare enfasi posta su questa domanda sia anche dovuta a una reazione personale della psicologa alle parole rivelatrici di Jamie: un calo di tensione al termine di quel lungo ed estenuante interrogatorio.
D: C'è qualcosa che da psicologa hai notato e che chi non è del settore, come me, potrebbe non aver colto?
R: Nella seconda parte dell’interrogatorio Jamie ammette di aver voluto usare un momento di fragilità di Katie per provare a ottenere da lei un appuntamento. Questa strategia, più o meno consapevole da parte sua, appare spesso anche durante il colloquio: quando Jamie si trova in difficoltà, prova a far leva sulle fragilità della psicologa per riuscire a manipolarla o a distoglierla dal suo obiettivo.
Ad esempio, quando è invitato a rispondere a domande più intime, Jamie le fa notare i suoi lapsus, le chiede cosa si prova ad avere paura di un bambino di 13 anni, l’accusa di non essere brava quanto l'altro psicologo. Lei non cede ai suoi tentativi di manipolazione, rispondendo o provando a rivalersi su di lui, tutt’altro: lascia decadere gli insulti personali per procedere con il suo lavoro.
Siamo abituati a pensare che sia da persone "forti" rispondere a tono alle provocazioni degli altri e invece, anche se le reazioni della psicologa potrebbero non apparire come quelle di una persona “forte” nel senso comune, di fronte ai tentativi di manipolazione di Jamie il suo atteggiamento rivela una forte stabilità e sicurezza interiore. Questo dovrebbe farci riflettere: che sia il caso di riformulare il nostro concetto di forza e debolezza nelle relazioni?
Ringrazio la Dott.ssa Albano per le riflessioni condivise, eccone altre trovate in Rete:
“Hai notato il modo in cui la mamma di Jamie cerca costantemente di mantenere il padre emotivamente regolato? Regolare il tono emotivo della famiglia è faticoso, invisibile e ricade primariamente sulla donna” dal reel di Celeste Yvonne.
“La voce nella maggior parte dei brani [della colonna sonora, ndr] è proprio dell’attrice Emilia Holliday, che nella serie interpreta la vittima, quasi a dare presenza fisica a un personaggio che è evanescente in tutta la serie, che aleggia pur essendo la protagonista (involontaria) del racconto.” dall’articolo di Paolo Bardelli su Kalporz.
“Come abbiamo fatto a crescere una figlia così brava?” chiede il padre alla moglie. “Nello stesso modo in cui abbiamo cresciuto Jamie” risponde lei. Non è proprio così: inconsciamente, i nostri comportamenti cambiano in base al genere. “Quello che stiamo facendo è iper-fissarci sul’insegnare alle ragazze a navigare in un mondo pieno di ragazzi emotivamente trascurati”. La docente Cindy Noir, in questo video, fa notare come tendiamo a controllare le nostre figlie, volendo sapere cosa fanno e con chi, mentre non ci facciamo domande su come i nostri figli passino intere giornate rinchiusi nella loro cameretta.
“Adolescence non è affatto un giallo. Il modo degli agenti di brancolare nel buio di fronte ai codici della generazione Alpha non è l’escamotage narrativo per un mistero da risolvere, ma la rappresentazione del divario più incolmabile degli ultimi secoli di storia – e forse di sempre – tra due generazioni: la nostra e quella dei nativi digitali.” dall’articolo di Arianna Giorgia Bonazzi su Rivista Studio.
“In quell’articolo per il Fatto raccontavo che la grammatica usata dai gruppi nostrani non era molto diversa da quelle pagine americane: «Le duemila» per esempio sono le «puttane» molto giovani, i «beta» sono i maschi sfigati, i loro idoli sono i Sollecito (che infatti di alcuni gruppi misogini era membro apprezzato), i Misseri, i Bossetti, tutti coinvolti (a diverso titolo) nell’omicidio di giovani ragazze. Sono gruppi spesso vicini all’estrema destra in cui, come in quelli degli Incel, si usano meme a tema «apologia dello stupro» e «le donne sono tutte zoccole».” dalla newsletter di Selvaggia Lucarelli.
Secondo i dati IPSOS 2022, il 58% degli italiani considera il femminismo superfluo, mentre il 33% ritiene raggiunta la parità di genere. Queste persone non daranno mai credito alle esperte in materia, ma nemmeno al World Economic Forum, all’Istat o a qualsiasi altro ente di ricerca che rileva le discriminazioni subite dalle donne. Queste persone ascolteranno solo i loro pari, per questo ora devono attivarsi gli uomini. Da dove partire? Cominciando a riflettere, serenamente, sul fatto che “BRO! Siamo tutti maschilisti”.
Altre segnalazioni di questa settimana:
Come sarebbero state scritte alcune notizie se non ci fosse stata la retorica del “non si può più dire niente”? Valigia Blu ha fatto un esperimento molto interessante.
Perché la lingua è “madre”, ma la terra è “patria”? Elena Panciera si è fatta la domanda e si è data la risposta qui.
Treccani ha deciso di accogliere la richiesta di Massimo Colella, direttore della rivista La Revue, e modificherà la sua definizione di “fumettista”. Che, fino a oggi, riporta come secondo significato “scrittore o scrittrice di opere di scarso valore, banali e di facile effetto”.
Quante probabilità credi ci siano che una testata giornalistica sia disposta a fare un’inchiesta sulle molestie nelle redazioni dove lavorano tanti amici, ex colleghi o possibili futuri datori di lavoro? Per questo è necessario sostenere il collettivo Espulse.
Ci ri-aggiorniamo tra due domeniche,
Flavia
Grazie mille, tra le tante uscite sull'argomento questa è una delle più mirate e approfondite.
A me ha colpito molto l'aspetto dello sport. Sia Jamie si è sentito osservato e giudicato (male) dal padre (III Puntata), sia il padre, ripercorrendo gli errori commessi, ammette di essersi vergognato del figlio e non averlo nascosto in pubblico (IV Puntata). A volte il rapporto morboso dei genitori con la crescita sportiva dei figli, spesso associata a quella mancata del genitore, può avere ricadute sull'autostima dei ragazzi.
Grazie, ancora.
Alcuni dettagli li avevo notati anch’io, comunque il terzo capitolo è davvero ben fatto