Ci toccherà stampare decaloghi e piazzarli davanti alle macchinette del caffè per ricordare che:
Toccarsi i genitali come messaggio rivolto a una persona
Toccarsi i genitali mentre un’altra persona ti sta parlando
Toccare la camicia della collega
Toccare i capelli della collega
Chiamare “amore” una collega
Chiederle della sua situazione sentimentale o della vita sessuale
Parlare della propria vita sessuale senza che nessuno te l’abbia chiesto
Proporre threesome o foursome
Fare ricatti sessuali promettendo l’ingresso in un gruppo di lavoro
Insistere ripetutamente sulle implicazioni sessuali del lavoro, anche se poi aggiungi un “si scherza”
sono forme di molestia sul posto di lavoro.
Temo però che, anche con tutti i cartelli del mondo, ci sarà sempre qualcuno che metterà le Ma(nno)ni avanti per dire che se ha fatto il “gigione” con qualche collega era solo per “cazzeggiare” (interessante scelta linguistica che involontariamente fa emergere l’androcentrismo della persona in questione) e “allentare la questione” (tua, non certo della collega - vedasi androcentrismo di prima).
Se ancora non riusciamo a riconoscere una molestia è perché non la nominiamo mai, nemmeno quando è sotto i riflettori.
A proposito di forme di violenza che non riconosciamo:
il 24 ottobre Fondazione Libellula presenterà i dati della sua Survey sulla violenza di genere in adolescenza. L’evento si terrà alle 17, alla Casa dei Diritti di Milano, di fronte alle istituzioni del Comune di Milano, alla stampa e a rappresentanti di alcune aziende. L’ingresso è aperto anche a chi legge questa newsletter, prenotando il proprio posto a questo link.
Non posso spoilerare troppo, ma penso che su alcuni dati ci torneremo prossimamente qui.
Le segnalazioni di questa settimana:
Una campagna per dei reggiseni in cui non si vedono reggiseni, ma corpi reali.
“Le donne come fonte di informazione sono anzitutto interessate da un discorso identitario autoreferenziale, che non ha corrispondenza per le fonti maschili. Attraverso la parola donna, le fonti femminili esplicitano la propria identità di genere, come singole o appartenenti a un gruppo sociale, o l’identità di genere di altre donne. Viceversa, la parola uomo non ha questo valore identitario, o per lo meno non viene usata dagli uomini per marcare la propria appartenenza al genere maschile.
Questo risultato è confermato ai vari livelli dell’analisi e attesta due fenomeni: primo, come l’informazione italiana, più o meno consapevolmente, sia androcentrica, veicolando l’asimmetria semantica che interessa la coppia di nomi donna-uomo, laddove il primo indica un genere della specie umana, quello femminile, il secondo, invece, non indica solo l’altro genere, quello maschile, ma anche l’intera specie; secondo, come l’informazione sia uno spazio in cui le donne esprimono esplicitamente la propria identità di genere, forse anche su una sollecitazione in tal senso da parte di giornaliste e giornalisti, come dimostrato da precedenti ricerche.”.
Da Rappresentazioni di genere nel linguaggio dei TG italiani di Monia Azzalini
“Mi tocca”, lo spot per lanciare l’app del Ministero dell’Uguaglianza spagnolo che monitora la distribuzione dei lavori domestici in famiglia.
“Su Spotify, l’ascolto di podcast da parte della Gen Z nella categoria Istruzione è aumentato del 58% nell’ultimo anno in Italia, mentre i notevoli incrementi in Religione/Spiritualità (+218%), Salute e fitness (+110%) e Storia (+79%), tra gli altri, indicano una sete di conoscenza.”
Dal report Culture Next 2023: le principali tendenze della Gen Z di Spotify.
Un video sulla salute mentale che ci fa capire come è facile cadere nei pregiudizi. Da guardare fino alla fine.
Alla prossima,
Flavia