Trigger warning: in questo numero si parla di interruzione volontaria di gravidanza.
La notizia della settimana è che, per una volta, non ho esclamato “CHI?!?” all’annuncio del Premio Nobel per la Letteratura. Non solo: ne ho addirittura già letto un libro.
Ciò che mi rende particolarmente felice, però, è che Annie Ernaux non è semplicemente una scrittrice capace (e a me nota), ma è soprattutto una femminista dichiarata.
“Può darsi che un racconto come questo provochi irritazione, o repulsione, che sia tacciato di cattivo gusto. Aver vissuto una cosa, qualsiasi cosa, conferisce il diritto inalienabile di scriverla. Non ci sono verità inferiori. E se non andassi fino in fondo nel riferire questa esperienza contribuirei a oscurare la realtà delle donne, schierandomi dalla parte della dominazione maschile del mondo.”
scrive in “L’evento”, in cui racconta del suo aborto.
A-BOR-TO. Mi sembra quasi incredibile poterlo scrivere liberamente, senza doverlo camuffare come faccio su Instagram con dei numeri, per far sì che l’algoritmo non riconosca la parola.
Già, perché ci sono diverse prove che Meta nasconda i contenuti che parlano di interruzione volontaria di gravidanza. Non è una legge scritta, e l’azienda non ha mai reso pubblico come funziona l’algoritmo, ma se hai mai provato a parlarne in una Storia o in un post, avrai notato un calo nella visibilità del contenuto (in gergo tecnico, la reach, ovvero il numero di persone a cui è stato mostrato).
Non è un caso: anche Becca Rea Tucker, content creator che realizza messaggi pro-aborto di glassa, ha notato che una sua foto era stata nascosta dal social network ed etichettata come potenzialmente violenta
e ci sono altri esempi di errata “moderazione”.
Cari invocatori ad cazzum canis del politicamente corretto, prima di digitare o proferire il solito “non si può più dire niente!”, ricordatevi che noi veniamo silenziate ogni volta che menzioniamo un nostro diritto.
Torno a citare Ernaux:
“Né lui né io abbiamo pronunciato una sola volta la parola aborto. Era qualcosa che non aveva posto nel linguaggio.”
Che Mark Zuckerberg se ne faccia una ragione, noi continuiamo a parlarne.
Ho divorato in due notti “Niente di vero”, di Veronica Raimo, una penna (o forse ora si dovrebbe dire “una tastiera”?) tagliente e ironica che ho scoperto grazie alle candidature del Premio Strega. E sì, riesce a far ridere anche quando parla della sua scelta di interrompere una gravidanza:
“Mio fratello, in quella circostanza, si risparmiò le parabole e mi regalò un libro: “Perché avere figli” di Christine Overall. Gli dissi che mi sembrava vagamente inopportuno visto che avevo già preso una decisione. – Ma no, che c’entra. È un bel saggio, scritto benissimo. Un mese dopo mi regalò “Aggressività, angoscia, senso di colpa” di Melanie Klein, sempre perché era scritto benissimo.”
Cos’hanno in comune Dirty Dancing, BoJack Horseman e La dottoressa Giò? Affrontano tutti un episodio di aborto, anche se in modi molto diversi. Questo fil rouge è stato evidenziato da Corinna De Cesare, autrice del progetto editoriale The Period, in un talk che ha condotto durante il Festival delle Serie TV.
Un bell’esempio di contro-narrazione, libera dai sensi di colpa: l’account IVGstobenissimo di Federica Di Martino.
Sulla questione controllo del corpo delle donne, t’invito ad ascoltare questa puntata del podcast “Cara, Sei Maschilista!” in cui Karen Ricci dialoga con Elide di Modern Cinderellas.
A settimana prossima e
nolite te bastardes carborundorum,
Flavia