Sono tornata da qualche ora dal BASE di Milano, dove ho sentito Andrea Zorzi parlare di fallimento.
Andrea Zorzi, ovvero il pallavolista della storica “generazione di fenomeni” allenata da Julio Velasco.
Andrea Zorzi, che sulle mensole di casa ha due ori mondiali e un argento olimpico, mentre noi c’abbiamo al massimo la polvere.
Andrea Zorzi, che a più riprese è stato eletto giocatore dell’anno, era lì a parlare di fallimento.
Perché non importa quanto tu possa aver vinto nella vita: se sei uno sportivo professionista e perdi alla finale delle Olimpiadi del ’92, tu quella palla continuerai a sognartela ancora per un bel po’.
Sì, sono first world problem, ma sono comunque problem.
E nella cultura della performance in cui viviamo, per sopravvivere dobbiamo evitare di fare dell’insuccesso una questione identitaria. Non passare dall’ “hai fallito” al “sei”.
Come possiamo fare?
Studiare, oltre alle best practice, anche gli insegnamenti che possiamo trarre dai fiaschi, dato che una ricerca ha dimostrato che il successo non va alle persone più talentuose, ma alle più fortunate.
Creare altre occasioni di dibattito pubblico sugli insuccessi.
Rendere più umane le narrazioni che facciamo di noi stessi sui social network.
Ci ho provato a marzo, quando NON sono stata selezionata per la Chora Academy e ho deciso di farne un post, invitando anche gli altri 3.700 colleghi di “bocciatura” a fare lo stesso per avere un LinkedIn meno autocelebrativo, almeno per un giorno. Sono consapevole, però, di avere un po’ barato e di essermi tenuta per me i miei veri epic fail.
E poi, per ironia della sorte, quello è diventato il mio post LinkedIn di maggior successo.
Il fallimento è una complessa equazione, il cui risultato dipende da tanti fattori, come le speranze riposte, il tempo impiegato, la società in cui vivi e le tue condizioni socio-economiche. Ma anche da quanta sindrome dell’impostore c’è in te.
Per questo all’annuncio di lavoro che abbiamo pubblicato in settimana abbiamo aggiunto una postilla dopo i requisiti necessari per candidarsi:
“CONTINUA A LEGGERE
Sappiamo quanto sia diffusa la sindrome dell’impostore, e forse credi di non corrispondere a tutti i requisiti richiesti. Se ti ci ritrovi almeno nel 60% dei punti, candidati comunque.”
Se t’interessa approfondire l’argomento, ti consiglio di:
partecipare a una FuckUp Night, format internazionale che porta sul palco testimonianze di fallimenti, e in generale seguire Montserrat Fernandez Blanco, che da anni organizza l’edizione italiana;
guardare “The disaster artist”, che narra le vicende di Tommy Wiseau, regista, sceneggiatore e attore di quello che viene ricordato come “uno dei peggiori film mai fatti”, così brutto da aver fatto il giro ed essere diventato un cult;
leggere la storia di Luigi Malabrocca e scoprire perché una volta arrivare ultimo al Giro d’Italia era preferibile al secondo posto.
Sono passate un paio d’ore dal 13 ottobre, la Giornata Mondiale del Fallimento, quindi ho ufficialmente bucato la consegna che mi ero prefissata per questa newsletter.
Al tempo stesso, però, vedo della coerenza in tutto ciò.
Alla prossima,
Flavia