Spesso, quando faccio formazione sul linguaggio inclusivo ampio, mi vengono chiesti esercizi pratici per riconoscere i propri automatismi.
Il primo è il gender swap: quello che sto per dire riferito a una donna/ lavoratrice/ mamma lo direi alla stessa maniera, usando i medesimi verbi o aggettivi, se fosse riferito a un uomo/ lavoratore/ papà?
Es:
Lui lavora tutto il giorno. Si sacrifica per la sua famiglia.
Lei lavora tutto il giorno. Sta trascurando la sua famiglia.
Il secondo esercizio è provare a invertire soggetto e complemento oggetto quando leggiamo notizie che riguardano la violenza di genere, come invita a fare Roberta Marasco in questo suo post Instagram, parlando del processo relativo a Dominique Pelicot:
Come suggerisce questo articolo di Linkiesta:
“Quella di Pelicot è una sfida personale [sulla scelta dell’aggettivo non concordo, NDR] ai tanti miti che circondano lo stupro e che oscurano la realtà di una società patriarcale misogina dove meno del sei per cento delle denunce di stupro viene perseguita. E la narrativa che viene adottata dai vari media internazionali nel trattare il caso assume così una rilevanza primaria.”
Fin dall’inizio del processo, le varie testate francesi avevano scelto di non citare il nome della vittima, per tutelare la vita privata della stessa e dei tre figli della coppia. «Non ho nulla di cui vergognarmi», ha però detto Pelicot, chiedendo che il processo fosse aperto al pubblico. «Bisogna che la vergogna cambi lato».
“La honte change de camp - la vergogna cambia di lato” è stato il motto con cui sono scese in piazza centinaia di francesi, come segno di solidarietà alla survivor, termine che dovremmo utilizzare più frequentemente in sostituzione a “vittima”.
Mi sembra però che ancora facciamo fatica a puntare i riflettori su di lui, Dominique, sui 50 uomini che hanno abusato della donna, su tutti quelli che avranno saputo del sistema messo in atto perché invitati dall’amico a partecipare e non l’hanno fatto, ma non hanno nemmeno denunciato.
Non fraintendetemi: è giusto dare a Gisèle Pelicot (che continueremo a chiamare col cognome dell’ex marito perché è sua volontà, in quanto ha dichiarato che riprenderà quello da nubile solo a fine processo) il merito di quanto sta facendo per sensibilizzare sulla violenza da sottomissione chimica, ma l’uso irresponsabile del linguaggio da parte dei media rischia di far uscire titoli come quello del The Telegraph:
“Moglie si vendica pubblicamente degli uomini che, su ordine del marito, l’hanno stuprata per anni”.
“Si vendica”. Non “cerca giustizia”.
Facciamo le campagne per invitare le donne a denunciare, intanto costruiamo il patibolo linguistico con cui colpevolizzarle per quella stessa violenza.
Ancora due cose a riguardo:
Andrea Simon, che Linkiesta definisce “direttore esecutivo di End Violence Against Women” e con mia sorpresa ho poi scoperto essere una donna cisgender, ha fatto un’interessante proposta:
“Sappiamo che i giornalisti spesso si trovano sotto pressione per produrre grandi quantità di contenuti, ma abbiamo bisogno che ci sia maggior attenzione al linguaggio utilizzato. Ad esempio, l’uso di “presunto” – come in presunto stupro, presunta vittima, che implica un dubbio – potrebbe essere sostituito con il neutro “segnalato”.”
Come cambia la narrazione se partiamo dai “clienti ped0fili” anziché dalle “baby squillo”? Una proposta di Roberta Marasco.
Provo una certa delusione per la scelta di Netflix di chiamara “Yara” una serie incentrata su un unico punto di vista, quello di Bossetti. Usare il nome della vittima e accostarlo nella locandina all’immagine dell’uomo in carcere per il suo omicidio, con il tentativo di redimerlo, è una forma di violenza. Usare gli audio che la mamma di Gambirasio lasciava alla segreteria della figlia è pornografia del dolore. E un’altra forma di violenza, dato che lei non aveva dato il consenso a questa diffusione.
Mentre sui social si facevano più insistenti queste critiche, l’autore Gianluca Neri condivideva fieramente i dati di visualizzazione della sua creatura.
Le segnalazioni di questa settimana:
Grazie a
ho scoperto della campagna di Burger King UK che rappresenta in maniera piuttosto realista e non glamourizzata il momento post-parto.Dalla newsletter di
ho poi compreso che la data di uscita non è stata casuale: 26 settembre, giorno caratterizzato dal maggior numero di nascite nel Regno Unito.
Una borsa da 20 dollari abbandonata nel reparto dei prodotti per l’infanzia è stata ripresa su TikTok da Denaesha Gonzalez, aprendo una conversazione sui piccoli-grandi sacrifici economici che si fanno per i propri figli e le proprie figlie diventando il trend, “She deserved the purse - lei meritava la borsa”.
Come hanno fatto almeno altre 500.000 persone, ho firmato per il Referendum Cittadinanza. Non ho potuto fare a meno di notare che in ogni regione sono state soprattutto le donne, in misura nettamente superiore, ad aderire.
Tramite questo post LinkedIn di Alice Siracusano, apprendo che secondo un report di Textio (che va a supportare altre ricerche fatte e menzionate su “Invisibili” di Caroline Criado Perez):
“𝐋𝐞 𝐝𝐨𝐧𝐧𝐞 𝐬𝐩𝐞𝐬𝐬𝐨 𝐫𝐢𝐜𝐞𝐯𝐨𝐧𝐨 𝐜𝐫𝐢𝐭𝐢𝐜𝐡𝐞 𝐫𝐢𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐢𝐥 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐨𝐫𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨, 𝐥𝐚 𝐩𝐞𝐫𝐬𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢tà 𝐨 𝐥'𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐨, 𝐩𝐢𝐮𝐭𝐭𝐨𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐮 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐫𝐞𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐥𝐚𝐯𝐨𝐫𝐨.
Agli uomini infatti vengono dati feedback più circostanziati e applicabili alle attività quotidiane, mentre alle donne spesso viene suggerito di "essere meno frenetiche", di "stare più calme".
Altro dato interessante: questo si verifica indipendentemente da chi fornisce il feedback, sia gli uomini sia le donne tendono a essere più critiche nei confronti delle altre donne.”
Un metodo anti-stress e anti-stereotipi.
(Sono andata a verificare se era vero che lo diceva la scienza, perché ero piuttosto scettica. E invece.)
Alla prossima newsletter,
Flavia
In francese c'è un'espressione che mi fa sempre sussultare: per dire "è stata violentata", dove il passivo indica che il referente del soggetto subisce la situazione e quindi non ne è responsabile, si può dire "a été violée" (è stata violentata) ma anche, e più usato "elle s'est fait violer" (si è fatta violentare) che implica una partecipazione all'azione da parte del soggetto, quindi con effetto causativo, come se la referente dell'azione sia istigatrice della situazione o dell'azione stessa. Questa formula (verbo fare+ infinito che si chiama tournure factitive) è usata anche per altri verbi come aggredire, investire, derubare, etc ma non trasmette quella sensazione di colpevolezza che ho addosso quando si usa il verbo violentare. Si sta riflettendo in questi ultimi anni sul fatto di poter preferire le altre due forme (il passivo o ancora meglio, come suggerisci, la forma attiva).
'Appalling' e' la parola che viene in mente. Sono stanca di tutti questi finti perbenismi, anche qui in Australia, dopo un video dove un giovane ha pugnalato un leader religioso sul pulpito, giornalisti e testate hanno usato il termine 'allegedly' come se non fosse evidente. 'Religious leader allegedly stabbed by young...' io direi 'deranged youth uncalled-for stabbing'. forse e' per questo che non sono una giornalista! haha