Nella settimana appena conclusa, una linea ha unito Londra a Treviglio.
Partiamo da ciò che mi è geograficamente più vicino, ovvero la provincia di Bergamo, dove la Consigliera di Fratelli d’Italia, Silvia Colombo, ha commentato così la richiesta della Capogruppo del Partito Democratico, Matilde Tura, di dare alle donne in gravidanza a rischio e ai neogenitori la possibilità di partecipare ai consigli comunali da remoto:
“Nella vita ci sono delle priorità, se uno ricopre la carica di consigliere comunale al primo posto deve metterci la partecipazione.
Poi nella vita capitano cose belle come la nascita di un figlio o cambiare lavoro o cose brutte come la malattia, allora forse bisogna riguardare le proprie priorità, a quel punto bisogna dimettersi.”
Silvia Colombo (fonte)
Indovina un po’ alla fine chi si è dovuta dimettere? Proprio la consigliera Colombo, dopo che Fratelli d’Italia ha preso le distanze dichiarando che quelle opinioni non rappresentano la linea del partito.
[Intanto, la mozione per i collegamenti da remoto è stata bocciata e sarebbe interessante conoscerne la motivazione e se questo ostacolo ai neogenitori rappresenti invece la linea di partito del sindaco in carica, ovvero Lega Nord.]
“Torno a fare la mamma” ha dichiarato la dimissionaria Colombo, ma ecco che anche questa sua scelta lessicale smaschera il pregiudizio alla base.
“Cosa significa “tornare a fare la mamma”. Tornare in che senso? Dov’era stata? Aveva smesso? La trappola lessicale, l’atavico elastico che riporta indietro, è in quel “tornare”: back home, dove dovresti essere.”
Concita De Gregorio su Repubblica
Intanto, a Londra, su uno schermo del centro commerciale Westfiled è apparso un gigantesco distruggidocumenti che ha fatto a pezzettini i CV delle lavoratrici con prole come mezzo di denuncia delle carriere distrutte in seguito alla gravidanza.
Le persone sono state invitate a interagire con l’affissione inviando il proprio curriculum o profilo LinkedIn e il risultato poteva essere visto anche su YouTube durante la live del 27 febbraio.
La campagna “Mom, you’re fired! - Mamma, sei licenziata!”, segnalatami da Stefania Boleso, è opera di Pregnant Then Screwed (letteralmente: “Incinta e poi fottuta”), un’associazione di professioniste del mondo della comunicazione.
In collaborazione con Women In Data, è stata effettuata una ricerca dalla quale è emerso un forte aumento del numero di donne che vengono “accompagnate all’uscita” dal posto di lavoro quando sono incinte, durante o al ritorno dal congedo di maternità.
Dal comunicato stampa:
Ogni anno fino a 74.000 donne nel Regno Unito perdono il lavoro perché rimangono incinte o prendono il congedo di maternità, un aumento del 37% rispetto alle 54.000 del 2016.
Con meno del 2% delle donne in grado di presentare un reclamo in un tribunale del lavoro, si tratta di un'ingiustizia costosa che passa regolarmente inosservata.
E quindi, come si cambia questa cosa?
Al netto del fatto che serve della formazione contro gli stereotipi e, ove possibile, una maggior flessibilità di orari - o anche i consigli comunali da remoto, per dire - c’è un agente che può accelerare il cambiamento: sono i padri lavoratori.
Tocca a voi, ora, scendere in piazza per chiedere congedi più lunghi dei 10 striminziti giorni che avete a disposizione. Siete voi che dovete chiedere i permessi di lavoro per andare a prendere i vostri figli o le vostre figlie a scuola o per stare a casa quando hanno la febbre. Spetta a voi frenare le battutine di colleghe e colleghi quando una lavoratrice ritorna dopo il congedo di maternità.
Vostro è il privilegio, vostra è la responsabilità.
In questo spot di Google, un uomo si prepara a un colloquio ripercorrendo le soft skill acquisite con la paternità. Competenze che oggi sono richieste nel mondo del lavoro.
Le segnalazioni di questa settimana:
Se potessi dare un consiglio al Cinema Anteo, sarebbe quello di cambiare il nome delle proiezioni destinate ai neogenitori e ai loro neonati: si può fare di meglio di “Cinemamme”.
“Sara. Oh, quando gioca a shangai fa impressione. Una mano così ferma non l’ho vista mai. Non ha mai mosso un altro bastoncino. Dice che vuole fa’ l’estetista. Che ‘ste mani ferme so’ perfette pe’ fa’ le unghie. Una volta le ho detto “vabbè, co’ ‘ste mani puoi fa’ tutto. Pure il chirurgo”. Non è che m’ha detto no. M’ha solo guardato con un sorriso come per dire “Se’, vabbè”. Come se quella carta non ci stesse proprio nel mazzo. Forse non ce sta manco il mazzo.”
Tratto da “La foresta contro il deserto”, un fumetto di Zerocalcare per Internazionale su come anche il quartiere in cui cresciamo influisca sulle nostre vite.
“Ogni macchia dovrebbe far parte del gioco” è la campagna di Persil, marca di detersivi per il bucato, insieme all’Arsenal Women. Di quali macchie stiamo parlando?
“L’erba è parte del gioco. Il fango è parte del gioco. Il sudore è parte del gioco. Che dire del sangue?
6 ragazze su 10 hanno paura di fare sport a causa delle perdite mestruali.
Ogni macchia dovrebbe far parte del gioco”.
Oltre allo spot, l’idea è stata declinata su stampa e affissione.
Non solo lo sport. Per la paura del bullismo correlato, in Perù più di un milione di ragazze saltano la scuola nei giorni di mestruazione. Un dato allarmante che sarebbe da riportare nei TG. E così Libresse (la nostra Nuvenia) ha fatto, coinvolgendo conduttrici e conduttori dei principali notiziari mattutini, che hanno svolto il loro lavoro su banchi di scuola anziché dalle loro solite scrivanie.
Per guardare il video, è necessario cliccare l’immagine sotto.
Ma tu ti immagini il nostro Ministero della Salute che fa una campagna contro il tabù della menopausa?
Infatti l’ha fatto quello spagnolo.
“All’epoca, quando le donne non lavoravano, era per lavorare.”
Questo è uno dei soggetti per lanciare il Museo Nazionale del Patriarcato.
C’è solo un problema: provando a cercare più informazioni sul sito, scopriamo che non c’è alcun museo. Ecco infatti comparire la scritta: “Purtroppo questo museo non esiste ancora. Con “En avant toute(s)” lottiamo oggi affinché il patriarcato scompaia per sempre.”
Grazie della segnalazione a
.Su segnalazione di Eleonora Albano: trova l’unica professione per cui si usa il femminile sovraesteso.
A proposito: forse hai sentito della “casalinga di Voghera” (e di come quest’espressione sia stata usata per sminuire la scrittrice Carolina Invernizio), ma hai mai sentito dello stereotipo della “casalinga sveva”? Ne scrive Il Post qui.
Ci sono un po’ di cambiamenti nell’aria qui, a partire dal logo, disegnato dalle sapienti mani di Isotta Dell’Orto, fino all’arancione in sostituzione del giallo per i collegamenti ipertestuali (colore più facilmente leggibile, in quanto crea maggior contrasto col bianco dello sfondo, e pertanto rende più inclusiva la lettura).
Ah, e poi lunedì comincia per me una nuova avventura lavorativa.
Vado a farmi prendere dall’ansia da prestazione,
a presto,
Flavia
Numero pazzesco!
Veramente interessantissimo. Spero che possa essere d'aiuto per molti uomini che, avendo la possibilità di fermarsi dal lavoro, lasciano invece il lavoro di cura di figlie e figli alle sole madri.
C'è molta strada da fare, quando ho preso tutti i permessi che potevo prendere (non mi dilungo nei dettagli, ma ci sarebbero una serie di considerazioni economiche da fare, perché purtroppo non sempre è sostenibile) l'azienda non l'ha presa benissimo. Hanno preso atto di una scelta, mettiamola così. Questo è successo anche perché in quindici anni che sono lì credo di essere stato l'unico a farlo.
Nonostante questo, è stato evidente come al mio ritorno a tempo pieno, dal momento che sono un uomo, non ci fossero state conseguenze enormi. La mia carriera si è fermata, ma era già abbastanza ferma e ho ritrovato tutto il lavoro e le mansioni di prima. Questo a tantissime donne non succede e non è successo nemmeno nel posto dove lavoro. Al rientro al lavoro le loro mansioni sono state affidate ad altr* e si devono arrangiare a fare altro.
E poi mentre per la condivisione del lavoro a casa davvero non ci sono scuse (e partecipare insieme è bellissimo, dà un senso di costruzione della famiglia, qualunque essa sia, che è impagabile), fermarsi dal lavoro richiede di poterselo permettere economicamente come nucleo familiare. Nel mio caso abbiamo dato fondo ai risparmi, però non è detto che ci siano. Non lo dico come giustificazione per gli uomini che riprendono a lavorare a due giorni dal parto, ma perché credo che un passo fondamentale sia richiedere a livello politico il mantenimento del salario durante l'assenza. Senza questa lotta, che sono gli uomini a dover fare, è difficile che diventi uno standard occuparsi dei figli e continueremo a raccontare storie "eccezionali" che eccezionali non sono.
È una lotta che aspetta da troppo tempo e ripeto, sono gli uomini a doverla fare, rimettendoci qualcosa, se no non servirebbe lottare.
Dagli USA dove leggo, ho avuto un tuffo al cuore quando ho letto "Treviglio" tra le prime righe (sono di un paesino lì vicino, ho studiato a Treviglio fino alle superiori). Peccato che non sia per un motivo di cui andare fiere. Ci pensavo proprio in questi giorni, quante quante quante donne conosco che hanno perso il lavoro per via della maternità, e che poi si sono reinventate con una creatività e una determinazione incredibili. Da un lato, quanto hanno perso quelli che le hanno licenziate. Ma dall'altro, sono comunque screwed perché da libere professioniste non hanno accesso a cose come ferie pagate, malattia e simili a cui comunque hai diritto come dipendente.