In queste prime due settimane in un'organizzazione internazionale che si occupa di proteggere bambine e bambini ho avuto l’ennesima conferma che le parole che scegliamo sono decisive quando parliamo di umanità.
Tutelare le persone più vulnerabili significa tutelarle anche nella narrazione, quando raccontiamo le loro storie o mostriamo i loro volti.
Ecco alcuni contenuti che mi hanno fatto riflettere sul peso della comunicazione.
Un quiz di Terre des Hommes Italia per scoprire quanto ne sai di musica, cibo e tradizioni della cultura palestinese. Uno strumento (in pubblicitarese: gamification) per umanizzare un popolo di cui spesso si parla solo in relazione a conflitti.
A proposito di narrazioni, riprendo questo post di Barbara Antonelli, Head of Communication di SOS Méditerranée:
Costringere una persona sopravvissuta a un naufragio (e a tutta una serie di altre violenze, privazioni, traumi) a stare altri 4 giorni su una nave è una prassi che fa parte di una più ampia strategia politica: svuotare il Mediterraneo e criminalizzare chi salva vite.
Allo stesso tempo io ci leggo anche una strategia per imporre una narrazione disumanizzante: imporre l'idea che un corpo salvato in mare, con la sua storia, identità, il suo trauma possa trascorrere altri 4 giorni in mare, senza alcun motivo, significa non riconoscerne la sua umanità, la sua vulnerabilità. Significa affermare che il suo trama, la sua storia, valgono di meno. Significa incentivare la discriminazione.
Per questo credo che l'intreccio tra politiche e narrazioni ormai sia indissolubile e che oltre a una agenda di cambiamento delle politiche, per le organizzazioni del Terzo settore, in ogni campo, sia sempre più centrale proporre una agenda di resistenza alla disumanizzazione.
Se il tuo impegno è rivolto soprattutto alla tutela dei minori, è inevitabile usare foto che li ritraggono in condizioni precarie, col rischio però di etichettarli per sempre come vittime. Ho trovato perciò molto interessante la scelta che Avaaz ha esplicitato in una sua mail:
“Avaaz riflette attentamente su come e quando utilizzare foto di bambini e sulle circostanze in cui vengono ritratti. In questo caso abbiamo ritenuto importante che il mondo vedesse l'orrore di ciò che sta accadendo in Sudan, ma abbiamo scelto una foto che nasconda l'identità di madre e figlio.”
La foto della tessera del sostenitore di quest’anno di Medici Senza Frontiere è un ottimo esempio di come possiamo parlare delle condizioni terribili in cui si trovano migliaia di bambini, spostando però la fotocamera su chi aiuta, trasmettendo al contempo un messaggio di empowerment per le operatrici e gli operatori del Terzo Settore.
Scivolare nella pornografia del dolore è facile, ma CoorDown, per esempio, non ci casca mai. Usando un tono di voce da attivista, facendo parlare i diretti interessati (e non una voce fuori campo), l’organizzazione chiede che le persone con disabilità siano presenti nelle stanze dove vengono prese le decisioni.
Qualche giorno fa, durante una call tra ONG facenti parte del network europeo Voice, è emerso che in tutti i Paesi si stanno avvicinando nubi che mettono in dubbio non più solo l’onestà degli enti che si occupano di questioni umanitarie (obiezione evergreen), ma ora anche la loro necessità.
Tacciare queste persone nubi di egoismo o scarsa lungimiranza non servirà a far cambiare loro direzione, solo a cristallizzarle nelle loro posizioni.
Per questo è necessario cambiare la narrazione generale del Terzo Settore: occuparsi di umanità non è carità, è l’unica strategia possibile per garantirci un presente più sicuro ed equo.
Passa dalla paura alla speranza.
Racconta ciò per cui sei a favore, anziché ciò a cui sei contro.
Mostra le soluzioni, non solo i problemi.
Concentrati sull’opportunità, non sulla minaccia.
Mostra eroi umani di tutti i giorni, non vittime impotenti.
Tratto dalle linee guida sulla Hope Based Communication, la comunicazione basata sulla speranza. che puoi approfondire cliccando su questo link.
Le segnalazioni di questa settimana:
Saranno 3 le canzoni in italiano all’Eurovision di quest’anno, dalla macchietta di Tommy Cash con il suo “Espresso Macchiato” e l’inevitabile menzione agli spaghetti (come ha scritto Alessia Dulbecco in seguito alle polemiche insorte: allora li sappiamo riconoscere gli stereotipi quando ci toccano) a “Tutta l’Italia” di Gabry Ponte1, nel cui video le signore fanno il sugo - ma ehi, se è un italiano a farli, mica sono stereotipi!
Meno male che alla fine, a rompere questa stantia rappresentazione, c’è Lucio Corsi.
Hai tempo fino al 31 marzo per compilare “Almeno una volta”, un breve questionario per raccogliere dati sulle discriminazioni di genere, spesso subdole e normalizzate, che non permettono alle donne di vivere la quotidianità lavorativa con serenità. L’iniziativa è opera di hot lemon drop e ringrazio la sua co-founder, Livia Fioravanti, per la segnalazione.
Cose subdole, dicevamo. Dove meno te l’aspetti. Sei lì, al bar dell’ospedale per prendere un panino al volo. Sorridi scorgendo che i nomi corrispondono alle professioni mediche, tutte al maschile sovraesteso, meno una.

Grazie a Cristina Polga per la foto.
Che le donne siano il secondo sesso, l’Altro, vorrei averlo scritto io, ma ci ha già pensato qualcuna più brava di me. Quello che posso fare è allegare una dimostrazione pratica della teoria, grazie a Francesca Lai che mi ha gentilmente concesso questa sua foto.

“A partire dai prossimi giorni, alcune pagine del sito vedranno comparire nelle immagini una riquadratura rossa per indicare che i testi sono stati declinati esclusivamente al femminile.
Con questa iniziativa, ENPAP prova a invertire le regole tradizionali della lingua italiana, per riflettere su cosa accadrebbe se fosse il femminile a rappresentare entrambi i generi”. Grazie a Fabiola Noris per avermi invitata a leggere il comunicato dell’Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi.
Grazie a Stefano Ficagna ho scoperto che in Germania l’FC. St. Pauli sta costruendo un altro immaginario possibile di calcio maschile, meno machista e più inclusivo.

“Hanno fatto campagne contro il razzismo e l’omofobia, si sono opposti alla volontà di alcuni individui del club di aumentare lo spazio per i posti vip, di creare un locale con la pole dance all’interno dello stadio, e hanno rifiutato la ricerca di sponsorizzazioni tra aziende con un qualche legame con il fascismo, l’omofobia o l’industria delle armi. A metà novembre scorso sono diventati la prima squadra di calcio in Europa a lasciare X (Twitter), dopo averlo definito «una macchina dell’odio».”
Puoi continuare a leggere di più su quest’articolo del Post.
Nello scorso numero di questa newsletter suggerivo all’Anteo di trovare un nome alternativo al suo “Cinemamme”, escludente per i papà. Grazie alla mia collega Anna Bianchi ho scoperto che per chi vive nei dintorni di Milano esiste un’iniziativa simile (proiezioni a luci soffuse e volume controllato, con angolo morbido attrezzato, scaldabiberon e fasciatoio) dal titolo Cinemagattoni.
Gattonando verso una nuova settimana, ti saluto con un consiglio di ascolto: Sovversive, il podcast di Alice Facchini e Guido Balzani che, raccogliendo verbali di pedinamento, perquisizioni, fotografie segnaletiche, lettere intercettate e mai consegnate, ricostruisce le vite di donne ritenute pericolose “per la sicurezza dello Stato”.
Buon ascolto,
Flavia
Altra nota a latere: “Tutta l’Italia - bianca”, dato che non vedo persone con pelle di altro colore.
Ciao Flavia, mi sarebbe piaciuto vedere uno striscione con su scritto "Educate our sons" che mi avrebbe suggerito che la responsabilità è di tutti, di chi i figli li ha, ma anche di chi non li ha, di tutta la società insomma. Il mio bias è che vedendo quella scritta ho pensato più alle madri che ai padri....devo ancora lavorare molto su me stessa! Grazie, come sempre, per il tuo splendido post
Flavia ti voglio ringraziare, sei iperstimolante!!! *:0) Riesci a far nascere un sacco di spunti di riflessione... E adoro l'uso che fai dell'ironia, rende il messaggio più nitido e intenso.