C'è stato un momento in cui ho pensato che il cosiddetto "MeToo della pubblicità" avesse più possibilità di finire sul New York Times che sulle nostrane riviste del settore.
Non è andata così, ma la notizia è comunque uscita prima sui giornali nazionali che sulle fanzine - e nemmeno tutte.
Sarà forse per via di questo ritardo che la genesi della vicenda non è stata mai raccontata da parte di chi racconta ogni giorno cosa fanno le agenzie di comunicazione, preferendo concentrare gli articoli sulle reazioni al fatto ormai noto, come suggeriscono i titoli:
“ADCI1 e UNA2 lavoreranno a nuovi strumenti per combattere il sessismo.” (link)
“Sessismo in agenzia, anche FERPI3 prende posizione e propone una serie di azioni” (link)
“MeToo nelle agenzie, We Are Social condanna l’episodio della chat e avvia un’indagine interna” (link)
“MeToo nelle agenzie, UNA e ADCI fanno squadra aprendo a tutte le associazioni.” (link)
Cerco sempre di attenermi ai fatti quando faccio un’analisi, ma per una volta mi concedo di poggiare qui un’impressione: è come se le testate di settore non volessero davvero parlare della vicenda, ma si fossero rassegnate a doverlo fare.
C’è poi la questione che quando si scrive di molestie e violenza di genere bisognerebbe avere una formazione specifica, altrimenti si finisce col fare danni.
Ecco alcuni elementi a cui prestare particolare attenzione:
IL PUNTO DI VISTA
Negli articoli che ho letto viene data voce principalmente agli organi di settore (UNA, ADCI, FERPI) e al board di We Are Social, per lo più usando estratti dai comunicati ufficiali.
I nomi più ricorrenti sono quelli di Davide Arduini (Presidente UNA), Stefania Siani (Presidente ADCI) e Ottavio Nava (We Are Social).
Massimo Guastini, che invece è stato uno dei più menzionati dalla stampa nazionale, compare giusto in un paio di articoli.
Tania Loschi, che ha raccolto centinaia di testimonianze, è diventata “Tania L.”.
Pasquale Diaferia non mi risulta essere mai stato citato esplicitamente. Engage è l’unica a farne un vago-vaghissimo accenno definendolo “un illustre pubblicitario italiano, accusato nelle scorse settimane da un noto collega di essere "un molestatore".”
LA MINIMIZZAZIONE
“Non tutti gli uomini molestano. Non tutte le donne subiscono. non tutta l’industry della comunicazione è malata. È importante partire da qui.”
Youmark e il not-all-agencies in un articolo dal lunghissimo titolo: “Il Me Too nelle agenzie pubblicitarie parte dai social. Ed è un bene che grazie alle denunce gli episodi di molestie vengano resi pubblici e si invochi di estirpare la piaga. UNA convoca un Consiglio Straordinario. Anche ADCI, anticipando un’Assemblea generale soci dedicata al tema. Ma non facciamo di tutta l’erba un fascio.”
“Voci e rumor che per anni si sono inseguiti senza approdare a vere e proprie denunce formali da parte delle vittime”
“Insomma un quadro molto spiacevole, che stride con l’immagine di un mondo come quello della comunicazione, in cui non si contano le iniziative dedicate alla promozione di valori come la diversity e l’inclusion all’interno degli ambienti di lavoro.”
LA PAROLA GIUSTA È “MOLESTIA”
Youmark definisce ciò che traspare dalle testimonianze nelle Storie Instagram pubblicate da Tania Loschi come “episodi incresciosi”.
Abbiamo un grande problema con la parola “molestia”: non sappiamo usarla, perché non sappiamo cosa significhi.
Negli anni Sessanta il concetto di “molestia sessuale” non era ancora molto diffuso negli Stati Uniti, non c’era nessun accordo sociale su cosa descrivesse. Per esempio, una molestia sul posto di lavoro poteva essere interpretata come flirt o addirittura come un complimento: il capo che molestava non era consapevole della propria colpa e traeva profitto da una mancanza di comprensione, mentre l’impiegata molestata non poteva né dare un nome a quanto avvenuto né prendere provvedimenti per difendersi in futuro.
AH, L’IRONIA.
Nessun commento, che io sappia, da parte di Vicky Gitto, Presidente ADCI negli anni tra il mandato di Guastini e quello di Siani. Ironicamente, il suo ultimo post che riesco a vedere su Facebook recita:
“Quando vi diranno che il mondo della pubblicità è pieno di invidie, gelosie e competitività, ditegli che è anche molto altro”.
E che altro.
MO’ ME LE SEGNO
La rubrica in cui iniziamo a contare
Dei testi da analizzare nella Prima Prova della Maturità 2023, quanti erano opera di una donna?
1 (Oriana Fallaci)
vs
5 (Salvatore Quasimodo, Alberto Moravia, Federico Chabod, Piero Angela, Marco Belpoliti)
Le segnalazioni di questa settimana:
“Un'avanzata indesiderata e spaventosa in un bagno. Una proposta in taxi. Un'esibizione di una parte innominabile dell'anatomia. Si trattava di tre storie di molestie sessuali a Cannes che sono state sparate in meno di un minuto in una conversazione con una collega”.
Questa doveva essere la settimana d’oro per la pubblicità, ovvero quella del Festival di Cannes (no, non quello del cinema). E invece pare che anche sulla Croisette si sia finito per parlare di molestie sessuali.
Equaly, realtà che si occupa di parità di genere nella musica, ha lanciato un’indagine esplorativa allo scopo di raccogliere informazioni sul fenomeno della violenza nei confronti di lavoratrici e artiste del settore. Si compila qui.
La nostra corrispondente da Parigi Antonella Questa ci segnala che Durex ha deciso di puntare sul consenso nelle sue affissioni.
Lunedì 26 giugno, alle 21, diretta Instagram congiunta tra ThePeriod e Fondazione Libellula per capire cosa fare in caso di molestie sul luogo di lavoro.
Martedì 27 giugno, alle 12.30, su LinkedIn io e Laura Venturini, Founder e CEO di Quindo, discutiamo di SEO e linguaggio inclusivo.
Tante chiacchiere, vero,
ma questa settimana dovrebbe anche prendere forma un progetto concreto di cui spero di parlarti nei prossimi numeri.
Passala bene,
Flavia
ADCI = Art Directors Club Italiano, associazione che riunisce i professionisti e le professioniste della comunicazione
UNA = associazione delle aziende della comunicazione
FERPI = federazione che rappresenta chi lavora nelle Relazioni Pubbliche e della Comunicazione
Flavia, preziosissima. Ovviamente concordo su tutto. È terribile che ancora oggi, nel 2023, la stampa parli di questi temi in questo modo.